Nebula è una scultura di nebbia sospesa nello spazio, l’apparizione di una soglia aperta ad un incontro possibile, che nasce dal desiderio di ri-vedere e ri-pensare gli “altri” nella poeticità e semplicità di una relazione istituita attraverso linguaggi non verbali quali sguardi e gesti.
Nebula è la foschia nella quale si manifesta l’Altro: presenze umane emergono da corridoi spazio-temporali dentro cui scorrono, eternamente connessi ma individuali; si fermano, si voltano, guardano e si lasciano guardare, in una sorta di Tabula Rasa della relazione con l’alterità.
La struttura doppiamente ricurva dell’installazione nasce dall’esigenza di piegare la linea retta del divenire creando delle rientranze, dei luoghi in cui può accadere l’incontro.
Le persone che si muovono in Nebula sono ritagliate dal proprio contesto - dal proprio habitus e dal proprio habitat - in cui siamo “abituati” a vederle, a conoscerle e riconoscerle.
In tal modo, acquisisce significato l’assenza stessa del contesto, che diviene uno spazio metafisico atto ad accogliere le presenze nella loro misteriosa singolarità.
Nebula pone allo spettatore una rilettura della massima berkeleiana Esse est Percipi, ponendosi in continuità concettuale col filosofo e prendendo pertanto una distanza simbolica dal Buster Keaton dell’opera ”Film” di Samuel Beckett, che rifugge lo sguardo degli altri nel vano tentativo di non essere percepito, dunque di non essere.
In Nebula, la riconquista della percezione, del gusto di essere percepiti, è un tentativo di riconciliazione con l’alterità umana che, in questi tristi tempi, ci è stata negata.
L’opera è costituita da una struttura portante in legno di piccolo spessore appesa al soffitto; ad essa è fissato un voile in tensione pesato alla base che la lascia in sospensione.
Sul voile viene eseguito un video-mapping con video mandati in loop, realizzati attingendo alle riprese della performance conclusiva di un laboratorio, organizzato appositamente nel marzo 2021 a Parigi.
I partecipanti sono stati invitati ad aprirsi alla relazione con gli altri, riducendo al minimo le azioni “sceniche” per “offrirsi” con neutralità allo sguardo dello spettatore.
Lo spazio acustico propone una metafora sonora dell’opera stessa: sul rumore di fondo di un nastro analogico sono state processate operazioni in tempo reale atte a deformarle in ambienti complessi, creando delle stanze acustiche all’interno delle quali nascono e svaniscono in modo casuale le figure armoniche, prodotte a volte da sintetizzatori e altre da corde, percosse, pizzicate o sfregate (pianoforti, chitarre, violini). Dal nastro (un vecchio “mangiacassette” TEAC con nastro all’ossido di ferro) emergono composizioni di forme d’onda che simboleggiano, in uno scorrere asincrono, le figure umane nella loro gestualità.
In collaborazione con Piermarco Lunghi per il sound design , con Simone Pucci - Movimento Creative Label per il video mapping e la realizzazione video, con la partecipazione degli allievi del laboratorio Esse Percipi Est (collettivo La Voie du Corps Sensible).
Assistenza e collaborazione artistica : Piermarco Lunghi, Christelle Furet, Kareen Wilchen, Nicolas Fursat.